“Aspettando la rivolta dei giovani” di Curzio Maltese

Riporto qui un articolo apparso sul Venerdì di Repubblica di ieri. Condivido nella maggior parte dei passaggi l’analisi e soprattutto la soluzione…ci dobbiamo svegliare!! (tra parentesi i miei commenti. Nella foto, giovani di Copenhagen)

Ma perché questi ragazzi non si ribellano? A chi serve andare avanti così?
Essere giovani in Italia significa ormai rinunciare alla dignità del vivere. Il lavoro, quando c’è, fa schifo, è precario e sottopagato. Ma sempre più spesso non c’è. Gli hanno raccontato che con la flessibilità non vi sarebbe stata disoccupazione e se la sono bevuta, incredibilmente, hanno condiviso il finto liberalismo dei padroni e sono diventati schiavi. Il risultato è che un giovane su tre è disoccupato. Comunque anche i fortunati, si fa per dire, con lo stipendio non riescono a mantenersi e devono pescare dalla borsetta di mammà, come cantava Carosone. Ora si berranno forse la favola che la colpa di tutto è dei lavoratori più anziani, dei loro diritti acquisiti. Ma quei diritti le generazioni precedenti se li sono conquistati al prezzo di lotte durissime, mica abboccando alle balle dei presidenti di Confindustria o dei miliardari prestati alla politica (questo paese ha la classe dirigente che si merita e gli imprenditori, Confindustria, fanno solo la loro parte, quella che gli spetta, difendendo i propri interessi).

L’Italia è un Paese di vecchi che odiano i giovani e le donne. Ma giovani e donne votano per una classe dirigente di uomini vecchi e quindi il cerchio si chiude. Il progressivo rimbecillimento della nazione si compie senza conflitti generazionali.

Da giovane detestavo chi parlava di “giovani”, senza distinguere, perché i “giovani” naturalmente non esistono come categoria. Eppure quanto avviene da noi nel rapporto fra generazioni merita attenzione perché non accade altrove (siamo sicuri che sia davvero così?). Non esiste un Paese europeo dove il governo possa tagliare fondi all’istruzione senza provocare rivolte di piazza. I giovani europei sanno benissimo che l’unica speranza di avere un futuro nel mondo globalizzato esiste nel ricevere una buona formazione in scuole e università di eccellenza. Ora da noi le scuole pubbliche non hanno i soldi per la carta nei cessi e le università se la battono nelle classifiche internazionali con l’Africa. Ebbene il governo demolisce quel poco che rimane e gli studenti stanno zitti e buoni (il problema università è complesso, non c’è meritocrazia e trasparenza, una razionalizzazione delle risorse urge). Ad aspettare che cosa? Un lavoretto per l’estate e un altro per l’autunno? A prendersela con gli immigrati?

In Italia non esiste sostegno ai giovani disoccupati, non esiste una politica della casa per le nuove coppie (mi domando sempre di più perché a ciò non si è provveduto prima, negli anni ’80, quando c’era più manovra di spesa. E i sindacati dove erano? Forse che il sussidio di disoccupazione a loro non interessa tanto? Oggi a parlare di sussidio sono solo Tito Boeri e Pietro Ichino…)
Tutto è delegato a mammà e papà. Vi sta bene? Si fa davvero fatica a capirvi. Certo, tutta quella televisione assunta fin dalla prima infanzia deve aver fatto parecchio male.
Ma, insomma, ragazzi svegliatevi, non fidatevi di delegare a qualche furbastro la protesta, scendete in piazza, fate qualcosa, arrangiatevi. Oppure smettetela di arrangiarvi. Che cosa avete da perdere?

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10 thoughts on ““Aspettando la rivolta dei giovani” di Curzio Maltese

  1. Andrea says:

    Ci sarebbe da far notare che il precariato c'è e colpisce noi giovani perché qualche anno fa, chi aveva l'opportunità di fermare squallide leggi, (non certo noi giovani), ha taciuto. Di chi è la responsabilità? Nostra, che ci siamo trovati in questa situazione, o dei nostri genitori, che coccolati dai privilegi che si sono conquistati hanno chiusto gli occhi sui loro figli?

  2. Tutto vero. Ci tengo sottolineare un punto: noi giovani non siamo capaci di protestare. E con questo non intendo le solite buffonate in corteo con bandiere e striscioni, ma la volontà di entrare nel circuito sociale, partecipare alla vita pubblica. Non si vuole sbagliare, non ci si concentra, non ci fa domande. C'è lo studio e la discoteca, i bei vestiti e il mojito. Siamo una generazione debole e, come ha detto D'Alema (indipendentamente da giudizi politici di parte) e come riporta Lilli Gruber in "Streghe" siamo anche "la prima generazione a non credere in un futuro".

  3. Laura Preite says:

    Non si vuole sbagliare, aggiungo…non ci si vuole esporre troppo. Totalmente d'accordo sull'analisi. Leggevo pero' che sebbene regni un certo pessimismo sul futuro poi, ognuno, sul proprio progetto personale tende a essere positivo (comunque ce la faro', se mi impegno abbastanza…) C'è uno scarto che non mi spiego…

  4. Andrea says:

    Siamo nati e vissuti in anni in cui c'è stato il riflusso (gli Ottanta) e sono morte le ideologie (dall'89 in poi), quindi siamo cresciuti in una società in cui si premettevano gli interessi individuali e la propria persona al centro di tutto. Quando hai distrutto così un tessuto sociale, cosa resta? Una tabula rasa dove chi è forte ottiene tutto, e i deboli sono incapaci di organizzarsi. Ribadisco: di questo, chi sono i responsabili? Noi o chi ha fatto il vuoto prima?

  5. Laura Preite says:

    d'accordo ma oltre a suddividere la colpa o decidere che è tutta colpa "loro" bisogna anche capire allora, noi, oggi, che cosa si può fare?

  6. anthropika says:

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    Grazie per l’ospitalità.

    Buona giornata.

  7. ilprimissimo says:

    io resto pessimista, sul cosa si può fare. infatti non possiamo fare niente se non inventare, inventare inventare qualcosa di nuovo.Che poi significa fare del giornalismo serio (parlo di noi che abbiamo scelto questo mestiere).

    possiamo lamentarci, sbattere i piedi e dire: ha ragione Ichino quando dice che, ha ragione D’Alema quando dice che, ma poi in fondo il problema qual è?, rimbocchiamoci le maniche e blablablabla.

    La verità è che dovremmo essere noi, con un pò di coraggio e di buona volontà, a far esplodere il sistema con qualcosa che faccia gridare ai nonnetti che disprezzano il giovane giornalista come il giovane imbianchino: “Il mondo va più veloce di me”. Ma in fondo noi non cerchiamo nient’altro che di sostituire i vecchi nella loro grigia monotonia, vogliamo stipendi e cadreghe. non ce ne frega niente del paese, in realtà. sbaviamo intorno a collaborazioni sottopagate, quando potremmo stare in giro a inventare nuove forme di comunicazione, schiantare sul tempo quelle mummie che ci governano con robe che neanche s’immaginano, se pensate ai video migliori e agli articoli migliori fatti per Futura, sono maledettamente meglio di moltissime cose uscite sui quotidiani in questi due anni: e noi non siamo nessuno! e sapete perchè sono meglio: perchè sono lavori fatti seriamente, con professionalità. basterebbe unirsi, continuare a farli, questi lavori, sfanculando tutto il vecchio mondo, lavorare per conto nostro, senza tutor o padroncini.

    La colpa non è dei nostri genitori, è – come dice andrea – della cattiva politica e della filosofia di questo paese arretrato: un paese con dei vecchi che ragionano come negli anni ’50, e dei giovani che ragionano come negli anni ’70.

    ps: anche rifondazione parla – da tempo, da molto prima di ichino – di sussidio di disoccupazione: ma capisco che fa meno figo citare ferrero invece di ichino.

    villatelesio.wordpress.com

    • LauraP says:

      io non conosco ferrero e quindi, cito ichino. I nanetti, bel termine, proprio loro. Vogliamo sedie, potere, vogliamo tutto e dovremmo incominciare a prendercelo. Si potrebbe -come dici tu-continuare a lavorare per i fatti nostri. A novembre ci contiamo e vediamo che fare…

  8. leop says:

    Non è questione di giovani o non giovani. Questa storiella dei giovani di qui e di là è una bufala mitologica, un parlar di nulla. Piuttosto in Italia qualsiasi nuova attività buona (che la facciano i vecchi o i giovani) è soffocata dal leviatano pubblico amministrativo, che drena le risorse e le consuma tutte distribuendole tra prebende, privilegi e corporazioni, genera corruzione, malcostume nella società, è altamente ipocrita, e soprattutto distrugge ogni buona idea.

    Però come ci si prova a toccarlo – questo leviatano – succedono le rivolte di piazza. Ci ha provato uno di sinistra come Bersani, con i tassisti (dico: i tassisti!!!) e quelli hanno piantato una grana tale che il povero ha fatto marcia indietro. Pensate a toccare qualche categoria più grossa di burocrati: dall’amministrazione territoriale all’università alla sanità. striscioni e grida indignate contro i poveretti!

    La soluzione: qualcuno pensa che siano i giudici e i giudici giornalisti. Secondo me non c’è soluzione, l’italia sprofonderà sotto il suo peso.

    • ilprimissimo says:

      sono parzialmente d’accordo, anche se resto più ottimista di te, grazie alla mia cieca credenza nelle potenzialità della rete di renderci più forti del leviatano o moloch che sia. ci vuole tempo, pazienza, e rabbia.

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